Ambiente

La  montagna alle cui falde si adagia Venafro, su uno dei suoi coni  detritici, è chiamata Santa Croce. Altra denominazione è quella di Monte  Cerino, che origina probabilmente da Hercule Curinus, il cui culto era  importante tra i Sanniti. La sagoma irrequieta di questa montagna sembra  riprodurre, per chi giunge a Venafro  da oriente, lo stesso profilo  della città, stante la rocca della croce per il Castello e la Torricella  per i campanili del centro storico.
Santa Croce è ricca di emergenze  storiche, naturalistiche e geologiche. Quelle storiche sono  rappresentate da ruderi di antichi insediamenti, quali resti romani e  mura "ciclopiche", nonché dalla memoria viva dell'ultimo conflitto  mondiale (sentiero della "montagna spaccata"); quelle geologiche e  naturalistiche sono dettate da falesie, affioramenti calcarei e rupi  vertiginose che ospitano numerose specie di rapaci, tra i quali il raro  Biancone.
Il gigantesco sperone calcareo che si erge dal declivio,  200 metri al di sotto della vetta, sulla cui sommità è posta la Croce, è  inaccessibile da ogni lato perché delimitato da strapiombi vertiginosi,  ad eccezione del lato orientale ove rimangono i resti di mura  poligonali sannitiche che regolavano l'accesso alle aree meno scoscese  della vetta (Rocca Saturno).
Il paesaggio olivicolo, sebbene in parte  compromesso, caratterizza le pendici di M.te Corno e S. Croce.  Importante è la presenza di cultivar uniche come l'Aurina, varietà  autoctona e propria di Venafro, identificabile con l' antica "Licinia"  dei Romani ed altre varietà antiche tra cui la Pallante, l'Olivastro  breve, l'Olivastro dritto, la Rotondella, la Rossuola, l'Olivastrello,  l'Olivo "maschio", il Gragnaro, la Lagrimella.
Questa elevata  biodiversità colturale, indice di valore naturalistico, trovava  giustificazione nella maggior versatilità dell' oliveto agli agenti  atmosferici, il che equivaleva ad avere un prodotto sempre costante in  quantità, a seconda delle annate e della fruttificazione delle varie  specie di ulivo. Ancora oggi è possibile riscontrare terrazzamenti  antichissimi, intercalati a resti di impianti rustici di età  repubblicana con cisterne a scaglie calcaree e resti di fortificazioni  romane che scendono a linea retta dalla Torricella.
Senza dubbio  nonostante i tanti fattori di degrado che hanno impoverito queste  montagne (incendi, urbanizzazione selvaggia) il vallone della Madonna  della Libera risulta più interessante dal punto di vista naturalistico,  con fitte coltivazioni olivicole che intorno ai quattrocento metri  cedono il posto a boschi misti con roverelle di grandi dimensioni.
Nel  complesso le montagne sulle quali si estende il Parco rappresentano i  primi contrafforti mainardici e rivestono una notevole biodiversità.
L'avifauna  è caratterizzata dalla presenza di numerose specie di rapaci; oltre al  già citato Biancone spicca il Falco lanario (nidificante almeno fino a  qualche anno addietro) e il Falco pellegrino. Frequente la Poiana.
Tra  i mammiferi ai margini del Parco ha fatto capolino più volte il Lupo,  mentre è da segnalare l'Istrice. La tartaruga Testudo hermanni è ancora  presente nel circondario.
Oltre l'orizzonte coltivato ad olivo, si  riscontrano altri elementi tipici degli arbusteti decidui come il  Terebinto, l'Albero di Giuda e l'Olivo rinselvatichito; il Cerro, la  Roverella, il Carpino nero e l'Orniello, si riscontrano ad orizzonti  superiori. Ai limiti superiori della foresta, poco oltre i 1000 metri,  predomina la lecceta associata in maniera peculiare al Faggio, oltre che  all'Acero di monte, all'Olmo montano, all'Agrifoglio e al Tasso.  Importanti sono le formazioni primeve di roverella di grandi dimensioni,  sotto gli affioramenti calcarei di M.te Santa Croce e Monte Corno.  Un'approfondita relazione naturalistica sull'area, che è anche Sito di  Interesse Comunitario (IT7212171 - MONTE CORNO - MONTE SAMMUCRO), è  stata effettuata dalla Società Botanica Italiana.